Se non fosse scoppiata la guerra la Transnistria sarebbe certamente rimasta come quel posto dal nome impronunciabile sconosciuto ai più, quel luogo non luogo, quel regno incantato nel tempo, senza alcuna minaccia d’invasione o di coinvolgimento bellico. Vorrei ricordala così, quando ci sono andata qualche anno fa durante un viaggio in Moldova.
Arrivando dalla Repubblica della Moldova, già al confine l’atmosfera si fa rarefatta, la sensazione è quella di varcare la soglia di un mondo a sé stante. La piacevolezza di viaggiare liberi e spensierati che si vive nella accogliente e vivace Moldova, cozza immediatamente con i rigidi controlli della polizia di frontiera, ingiustificati visto che la regione farebbe parte territorialmente dalla Moldova, e che invece si è autonomamente dichiarata indipendente. Queta lingua di terra che va dal corso del fiume Nistro alla Ucraina è un esempio quasi unico di storia travagliata, che ha visto il succedersi di varie appartenenze. Lituani, Turchi, Tartari, Ucraini, Russi e Ottomani hanno fatto di questa regione una terra di conquista, che però ha mantenuto in qualche modo la sua identità. Anche se non riconosciuta ufficialmente da Mosca, lo stato indipendentista ha forti legami economici e militari con essa. In seguito al confitto Russo Ucraino del 2014 vi è stato un ravvicinamento con la Moldova per motivi di transito mercantile. D’altronde, in seguito alla dichiarazione di indipendenza del 1991 della Repubblica della Moldova, la Transnistria era compresa nei suoi confini. Ma nel 1992, iniziarono le manifestazioni di protesta degli irregolari della Transnistria, ai quali vennero in aiuto le forze militari russe e dopo diversi scontri con il cessare il fuoco, i confini sono rimasti allo stato attuale. I colloqui fra i due stati proseguono con la Moldova che propone alla Transnistria di costituirsi regione autonoma e che quest’ultima continua a proclamarsi indipendente.
Questa piccola regione che occupa un decimo del territorio Moldavo, ha una popolazione di circa mezzo milione di abitanti che si dichiarano pressappoco in egual numero russi, moldavi e ucraini con tre lingue ufficiali parlate, mentre il moldavo viene scritto con caratteri cirillici.
Tiraspol è la capitale. L’ingresso in città è sulla Strada 25 Octombrie, un grande viale da parata dove si affacciano i palazzi in stile sovietico. Davanti al massiccio e squadrato Parlamento, sede anche degli uffici presidenziali, si erge la grande statua granitica di Lenin che guarda fieramente verso il futuro socialista e più giù, al lato opposto un carro armato T tank posto in bella mostra sopra un piedistallo di marmo, con a pochi passi la tomba del Milite Ignoto. Il viale continua con testimonianze belliche della storia della Transnistria, non manca il Cimitero degli Eroi e il Memoriale della Gloria. La grande piazza verde attraversata dal viale è lo spazio dove si tengono le grandi adunate, con al centro la statua equestre del maresciallo russo Aleksander Suvorov; fondatore della città allorquando nel 1792 sconfisse l’esercito turco e salvò quella che allora era una fortezza. Viste queste premesse vengono i brividi, ci si sente molto intimoriti e in soggezione e si ha la sensazione di essere seguiti a vista.
Per togliere di dosso questa sensazione di gelida accoglienza e ricercare un po’ di vitalità e calore umano, l’ideale è immergersi nel mercato di Zeleny, il vero specchio dell’anima di questo paese. Un concentrato di allegra confusione di colori e profumi, questo è il luogo ove si danno appuntamento tutti i contadini della regione con i loro prodotti freschi, vestiti di colori diversi a seconda di ciò che vendono. Sui banchi si trovano frutti e ortaggi, nei mercati coperti si trovano i prodotti che vanno conservai come la carne, il pesce e i formaggi. Tutta questa abbondanza di merce fresca e genuina fa subito capire la vocazione rurale di questi luoghi dalla fertile terra nera.
Ma c’è dell’altro da scoprire in questa insospettabile e silente cittadina: una magica distilleria di brandy che ne è l’orgoglio nazionale. La Fabbrica Kvint, fondata nel 1897, è stata la prima a vendere un brandy nell’URSS con il proprio marchio ed è conosciuta in tutto il mondo per i suoi prodotti di qualità. È immensa, piena di fabbricati ove sono stipate botti a non finire, lunghi corridoi, sale d’assaggio, e un rilucente museo con esposte innumerevoli bottiglie preziosissime e trofei, vere e proprie testimonianze di merito per la Kyint.
Sulla strada del ritorno ci si può imbattere nel Monastero di Noul Neamt che si annuncia con il suo campanile, il più alto della Moldova. Sulla riva occidentale del Nistro, nel piccolo villaggio di Chitcani isolato nelle campagne, il complesso monastico ortodosso è dedicato alla Santa Assunzione. L’occasione è buona per una visita alle sue tre chiese con affreschi color pastello e pavimenti in legno, e per la meravigliosa atmosfera di quiete che si respira fra i vialetti del rigoglioso giardino, una vera e propria oasi di pace. Durante il periodo sovietico fu trasformato in ospedale, poi è divenuto seminario e attualmente è ritornato ad essere un monastero, custodito da una laboriosa comunità di monaci che produce anche un ottimo vino.
Non si può lasciare la Transnistria senza aver visto la fortezza ottomana di Tighina, affacciata sul Nistro e perfettamente conservata. Bastioni e torri si innalzano dalle possenti mura merlate, disegnando un insieme architettonico dalla pianta irregolare. Edificata da Stefano il Grande e conquistata da Solimano il Magnifico, ebbe una grande importanza strategica per il potere ottomano, fino all’arrivo dei Russi nell’Ottocento. Al suo interno si trova un piccolo museo che ricorda quando il re svedese Carlo XII fu obbligato a soggiornare fra queste mura con la sua guarnigione. L’episodio si rifà alla guerra contro Pietro il Grande, che il sovrano intraprese in alleanza col Sultano. Sconfitto, si accampò nella fortezza in attesa di riprendere le azioni miliari contro il regno russo, ma il Sultano contrario ad una ripresa delle ostilità lo tenne immobile, chiuso fra le mura del forte in attesa della grande battaglia. In questa sconfinata pianura disegnata all’orizzonte da imperscrutabili colline deserte, se si tende l’orecchio si può ancora udire il fragore degli zoccoli dei cavalli delle orde barbariche che imperversavano. La sensazione di isolamento e dell’attesa infinita mi riporta alla memoria quel bellissimo romanzo di Dino Buzzati,” Il deserto dei Tartari” e mi viene il sospetto che lo scrittore sia passato da qui.
Questa regione così fiera, così orgogliosa delle proprie origini ma debole economicamente se non sostenuta da regimi più forti, è destinata allo spopolamento. Le generazioni più giovani scappano in occidente se possono, certamente impauriti da un futuro che si fa sempre più fosco. E noi li possiamo ben comprendere.
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Foto Stefania Mezzetti